Il Dott. Alessandro Zorzi parla della morte improvvisa di Davide Astori e spiega perché le statistiche evidenziano più casi maschili che femminili
La notizia della morte improvvisa del Capitano della Fiorentina Davide Astori, ha sconvolto e commosso tutta Italia, a partire dal mondo del calcio, che si è raccolto attorno alla famiglia del campione in una toccante commemorazione senza colori né squadre, come è giusto che sia.
Ma cosa c’è dietro al decesso inaspettato di uno sportivo così giovane (classe 1987 – ndr) e controllato come è d’uopo in quanto professionista? E come mai si parla di morte improvvisa in particolare per il sesso maschile, almeno stando alle statistiche?
Abbiamo interpellato il Dott. Alessandro Zorzi, Cardiologo e Ricercatore Post Dottorale all’Università di Padova:
“La morte improvvisa di un’atleta professionista è un evento tragico. Come nel 2012 con i casi “Morosini” e “Bovolenta”, anche in questa occasione l’evento è stato seguito da una serie di dichiarazioni ed ipotesi che hanno generato confusione e preoccupazione nel pubblico. In aggiunta, si stanno ancora effettuando le indagini necessarie a capire realmente la causa del decesso. È necessario, quindi, fare chiarezza.
Il nostro cuore è dotato di un sistema elettrico formato da due componenti:
1) una centralina (“nodo del seno”) che genera gli impulsi, e decide per esempio che di notte il nostro cuore batta 50 volte al minuto e mentre corriamo 150;
2) un sistema di fili che trasmette gli impulsi al cuore e lo fa contrarre in maniera armonica.
La “bradicardia” degli atleti è il risultato dell’azione dell’allenamento ripetuto sulla centralina elettrica, che in media fa battere il cuore più lento di una persona non allenata. Questo perché il cuore dello sportivo è diventato talmente efficiente che gli bastano meno contrazioni per spingere una adeguata quantità di sangue, e così facendo risparmia energia da spendere durante l’allenamento. Registrando il battito del cuore di ciclisti professionisti non è raro trovare 30 battiti al minuto o meno di notte, e si tratta di un comportamento del tutto normale. Sotto un certo livello non si va mai e comunque il nostro cuore ha tutta una serie di sistemi sostitutivi che possono entrare in azione in caso di rallentamento eccessivo.
Quello che invece può accadere è che si ammalino “i fili elettrici” e che quindi l’impulso elettrico generato dalla centralina non riesca a venire trasmesso al cuore. Questa condizione, che si chiama “blocco atrioventricolare completo” o di 3° grado (quello di 1° grado è normale per un atleta, e anche quello di 2° può comparire di notte in una persona sana) può in talune condizioni far rallentare il cuore a tal punto da mettere a rischio la vita. Si tratta di una malattia che colpisce quasi sempre gli anziani (che si cura col pacemaker) e rarissima nei giovani”.
E allora perché nel caso Astori si è ipotizzato un rallentamento del cuore?
“Perché i medici legali e patologici si sono fatti l’idea che la morte non sia stata immediata, come di solito avviene quando insorge una aritmia rapida come la “fibrillazione ventricolare”, e quindi hanno ipotizzato che il cuore sia andato incontro ad un blocco atrioventricolare completo che, progressivamente, ha rallentato il battito e portato il povero calciatore alla morte. Si tratta di una ipotesi, che però dovrà essere confermata o smentita dalle analisi ulteriori che sono in corso. Ma ciò non toglie che stiamo parlando di una malattia completamente diversa rispetto alla “bradicardia sinusale” che tutte le persone sane hanno a riposo. Si pensi addirittura che noi cardiologici usiamo farmaci come i beta bloccanti anche nei cardiopatici gravi proprio per rallentare il cuore e farlo contrarre in maniera più efficiente”.
La domanda sorge spontanea: si poteva diagnosticare o comunque evitare?
“Si fa fatica a capire, in tal senso, perché ancora non è certa la causa della morte. Va detto che gli sportivi professionisti sono sottoposti periodicamente a controlli approfonditi a norma di legge, che evidenziano malattie presenti in maniera manifesta, ma questo caso potrebbe rientrare tra quelli tragicamente definiti “rari” e che sfuggono pertanto alle visite di routine, che sono sempre necessarie, ma che talora non possono riuscire ad evidenziare patologie più profonde e nascoste, che emergono solo se, a fronte della necessità di approfondimenti diagnostici, si procede con ulteriori esami.
Le visite mediche sono capaci di intercettare la maggior parte delle persone a rischio, ma non tutte. Ciò non vuol dire che l’intero sistema medico-sportivo vada messo in dubbio. È vero che anche con la cintura di sicurezza si può morire di incidente stradale, ma questo non è un buon motivo per non metterle”.
Le statistiche parlano di 9 casi a 1 nel rapporto uomini-donne per le morti giovanili improvvise: come mai?
“Sono due i fattori che incidono: nel primo caso si fa riferimento in particolare alle sportive, spesso sottoposte a stress e intensità cardiaca minore rispetto ai professionisti maschi, proprio per tipologia di sforzo e disciplina. Ma, nel caso di morti giovanili improvvise in generale, e che quindi non toccano unicamente gli sportivi, le patologie connesse sono meno frequenti nelle donne, sicuramente. Questo perché, anche se genetiche, si sviluppano in forma più grave negli uomini, anche per via degli ormoni sessuali maschili che incrementano la stessa malattia, spesso favorendola”.
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