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Dal lockdown alla riapertura: le conseguenze sulla psicologia

Dal lockdown alla riapertura: le conseguenze sulla psicologia

In quarantena ottimismo ma terrore, poi ansia, paura del cambiamento e disturbi del sonno: + 22% di richieste di supporto dagli specialisti che spesso lavorano pro bono

E la legge? “Si ignora che la salute è fatta anche di psicologia

Era un giorno qualsiasi di febbraio quando i telegiornali iniziavano a mostrare immagini di una Cina in ginocchio per via di un virus, e ancora il nome specifico non era nel nostro linguaggio comune. I virologi ci tranquillizzavano dicendo che questo virus non sarebbe arrivato in Italia, ma qualcosa stava cambiando, si stava cercando un colpevole, i cinesi erano diventati degli untori, e la nostra incertezza si stava trasformando in rabbia, cercando un colpevole.
Piano piano le notizie diventavano sempre più preoccupanti anche per noi. Fino ad una domenica sera di marzo quando iniziava la Fase 1, quella del lockdown.

Coronavirus o Covid-19 erano diventati parte del nostro dialogare, persino tra i più piccoli.
Tutti in casa, niente più visite ai familiari, niente lavoro per molti, niente scuola, sport: tutta la nostra vita era tra le mura di casa.
Le reazioni sono state diverse – c’è chi si è scoperto cuoco, chi sarta – e le finestre si sono colorate di arcobaleni disegnati dai più piccoli, i balconi sono diventati dei palchi per cantare, e l’altruismo aveva preso un ruolo fondamentale: in fondo tutti eravamo nella stessa barca.
L’ottimismo è una caratteristica del Bel Paese, e molti ne sono stati la prova, trovando qualcosa di positivo in questo momento, reinvestendo su sé stessi, prendendo in mano passioni che non avevano tempo per colpa di ritmi frenetici, trovando più spazio nel dialogo in famiglia, con il partner e con i propri figli.

I figli, dimenticati dai tanti decreti: adolescenti e piccoli, i risolti sulla loro psicologia

Visti sin da subito, soprattutto i più piccoli, come untori, insieme a loro è sparito tutto un mondo fatto di scuola, sport, famiglia allargata, relazioni tra i pari. I bambini e i ragazzi hanno bisogno di tutto questo mondo perché insegna ad esistere come altro dalla famiglia. I più piccoli hanno visto finire tutto da un momento all’altro senza aver chiaro cosa stesse succedendo.
Gli adolescenti, in piena fase di processo separativo, si sono ritrovati rinchiusi in casa con mamma e papà: in una fase della vita che è già complessa di per sé per tutti gli aspetti psicologi e fisici, mancava solo la pandemia.
Ma poi ci sono anche gli anziani, il nostro pezzo di storia, i più a rischio e che si sono ritrovati all’improvviso soli.

Tra fase 1 e riaperture: un aumento della necessita di supporto da parte dei professionisti della psicologia

Più la fase 1 avanzava, più la crisi economica si faceva sentire, più l’ottimismo generale iniziava a calare, e i contatti ai professionisti della salute mentale aumentavano.
Se all’inizio pandemia i contatti erano principalmente da pazienti già in cura, o dal personale sanitario che stava lavorando in condizioni disumane, poi numerosi lutti senza un addio, senza un funerale, la paura del contagio, la paura di perdere il lavoro, le difficoltà economiche e via discorrendo hanno portato ad un maggiore afflusso da persone anche alla primissima esperienza con uno psicologo.

L’idea di psicologi, psicoterapeuti e psichiatri era che una volta passata la fase acuta dell’emergenza, si sarebbe rischiato di vedere l’emergere di un’altra “pandemia”. Questo senza una presa in considerazione di una qualche forma di prevenzione.
La rivista Lancet Psychiatry ha pubblicato un articolo che spiega come 42 esperti mondiali hanno formato la Covid-19 Suicide Prevention Research Collaboration, secondo cui si può ancora agire per evitare o ridurre il problema.
Questa è una situazione mai vista prima: la pandemia sta causando stress, disturbi del sonno, sta rendendo le persone più vulnerabili, e le conseguenze per la salute mentale probabilmente resteranno per un tempo più lungo e avranno un picco più tardi rispetto alla pandemia.

I primi di maggio con l’inizio della fase 2 le richieste di supporto sono diventate più relative alla paura del cambiamento. Cambiare di nuovo diventa difficile: alcune persone non vedevano l’ora di uscire, altre terrorizzate dal contagio sono ancora più spaventate e temono il rientro al lavoro.
Tra la fase 1 e la fase 2 un’indagine professionale sulle necessità psicologiche degli italiani ha riscontrato che ci è stato un aumento dal 40% al 62%.
Siamo ben lontani da ciò che sperava Freud “la psicoanalisi diventerà una nota a piè pagina“ ma sicuramente questa emergenza ha portato molte persone a lasciare da parte tutti i pregiudizi che si porta questa professione.
L’indagine condotta dall’Istituto Piepoli per il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi rivela che 8 italiani su 10 ritengono che il ricorso allo psicologo possa aiutare a gestire questa fase, e vogliono che il sistema pubblico assicuri assistenza psicologica.

Un tasto dolente: psicologia e assistenza tra solidarietà e necessità di coordinamento e struttura

Attualmente in Italia ci sono 6 mila psicologi pubblici del Servizio Sanitario per 60 milioni di abitanti. Questa fase ha costretto questa categoria di professionisti ad attivare una catena di solidarietà.
Decine di migliaia di professionisti hanno prestato la loro opera gratuitamente. Tramite un sondaggio del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi 7 su 10 professionisti ha lavorato in maniera del tutto solidale. La solidarietà non basterà, anche perché non si potrà chiedere ai professionisti di lavorare gratuitamente per mesi.
Finita la prima emergenza bisogna trovare risposte strutturali, coordinate ed efficaci, non solo riparative ma anche di promozione di risorse e resilienza.
Eppure, nel decreto del 13 Maggio non c’è nulla, si ignora che la salute e gli equilibri delle persone e dei contesti sono fatti anche di psicologia. Se tutto ciò non verrà modificato questa enorme sofferenza psicologica potrà solo tramutarsi in problemi fisici e psicologici.

Già in passato studi precedenti avevano associato pandemie ad un aumento di caso di ansia, insonnia e depressione. Questo è già accaduto nel 2002/2003 con la Sars.
In questi casi non conoscere gli esiti di una pandemia aumenta i livelli di stress, la paura di un nemico invisibile e pericoloso come un virus attiva uno stato di tensione persistente che può aggravare le condizioni di chi già soffre di disturbi ansiosi o depressivi, ma anche scatenare ansia e panico a chi non ne ha mai sofferto.

 

 

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