L’artista apre la sua mostra a Vicenza presso lo spazio in Piazza dei Signori il prossimo 23 giugno alle ore 18.30: ecco l’arte di Joseph Rossi
Nuovo mese e nuova mostra in quel dell’IDEA di Amatori in centro a Vicenza: stavolta vi portiamo a scoprire le opere di Joseph Rossi, eclettico artista contemporaneo con la mostra “L’oggetto e la cosa”, in programma dal 23 giugno al 21 luglio.
Di Joseph Rossi scrive Salvatore Fazia:
I bambini ci giocano, gli artisti pure, e il gioco è sempre lo stesso, inlare un chiodo in un buco, e poi sospettare. I bambini lo fanno, riesce sempre, gli artisti no, gli artisti sono adulti e gli adulti non lo sanno: gli artisti non si odano, e vanno sulla metafora.
Si aspettano risultati più inquieti e invasivi, eversivi, rubano i giochi ai bambini e se la fanno a gambe.
E’ accaduto a Joseph, artista di tante genetiche, com’era accaduto a Freud: Freud racconta che una mattina che la mamma era uscita, vede il nipotino, solo in camera, che gioca con un rocchetto da spago, prima lo lancia al di là della sponda del letto e quando il rocchetto sparisce dice forte quando poi tira lo spago e il rocchetto riappare, dice daaa. Freud ha visto la scena e se l’è svignata, s’è ritirato in camera e ha annotato l’avvenimento prezioso.
L’artista fa così quando resta solo, nell’esistenzialismo negativo delle sue giornate invoca il gioco dell’arte.
Con Joseph di nuovo c’è che incontra la tecnologia del nipotino, sta giocando con le costruzioni Lego, gliele ruba e si isola, quando preso dalla malinconia fa il gioco del chiodo e del buco, che a memoria diventano l’oggetto e la cosa.
Ma, tutto questo che c’entra con l’arte?
L’arte è l’organizzazione del vuoto, il vuoto è la porta d’entrata, l’ingresso, il buco è il vuoto, il vuoto è la cosa, la nudità del fatto è data dal nudo della geometria, i cubi sono nudi, l’articolazione avviene tra cubi, cubi maschili e cubi femminili, lo scandalo non ha luogo, anche se la cosa resta sola e deve fronteggiare la violenza del branco.
L’artista vi assiste, e contro il realismo del fatto invoca la bellezza, anche per durare più a lungo, il desiderio dell’estasi e del sublime è raggiunto prima che la jouissance generi il collasso, e il caos possa precipitare il tutto nell’abisso del non-senso.
L’ evento è questo: le tavole, una alla volta, raccontano le sfide tra l’oggetto e la cosa, nella soggettività copulativa degli incontri e degli incastri, nel delirio dei convegni, dato che l’accorrere dei rivali, e le mutevoli gerarchie che vi si formano, portano al salto di qualità e al salto di quantità, e questo ingenera il caos minaccioso della rovina.
Joseph non è nuovo a questo genere di “sconfitte” e di “perdizioni”, ogni sua operazione d’arte ha questo di speciale che l’evento di scena si apre e si dispone a scena aperta, e a scena aperta lo stesso evento collassa e si distrugge.
Dostoevskij osserva che la vera passione del giocatore non è quella di vincere, ma quella di rovinarsi.
Sono pochi gli artisti che lo sanno.
Joseph è uno di questi.
“In ogni opera d’arte degna di questo nome – conclude Lacan – c’è una costante tensione tra l’organizzazione formale, l’articolazione di una forma e una forza caotica che resiste a questa forma, tra la forma e la forza”… nell’opera di Joseph, le ultime tavole sono una chiamata all’evento e nello stesso tempo al giubilo frastornante della complessità e della decorazione, come dev’essere che sia e nella giocosità dell’arte.
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